Il coraggio contro l’olio di palma

E’ stato ucciso Rigoberto Lima Choc pochi giorni dopo la sua denuncia in Guatemala

(da Il Cambiamento) Il coraggio di mettersi contro i big dell’olio di palma è costato la vita all’ambientalista Rigoberto Lima Choc, ucciso nel nord del Guatemala appena qualche giorno dopo la sua denuncia, accolta da una corte del paese, che rivelava l’inquinamento massiccio provocato dalle società proprietarie delle piantagioni di palme da olio. Rigoberto aveva 28 anni e faceva l’insegnante, apparteneva ad una tribù indigena e si dedicava alla salvaguardia del suo territorio. Era stato tra i primi a denunciare come l’industria dell’olio di palma avesse avvelenato i corsi d’acqua e ucciso centinaia di migliaia di pesci mettendo a rischio persino le fonti di sostentamento della popolazione locale. Gli esperti hanno definito quanto avvenuto un ecocidio e tra i maggiori disastri ambientali della storia del Guatemala.

Per difendere l’ambiente Rigoberto Lima Choc ha pagato il prezzo più alto possibile, la sua vita. Ora la gente pretende giustizia da parte delle autorità guatemalteche. Il disastro denunciato da Rigoberto è solo uno degli esempi della distruzione dell’ecosistema che l’industria dell’olio di palma sta causando, soprattutto quando i governi si tirano indietro e non proteggono le popolazioni locali né l’ambiente.

Rigoberto aveva documentato l’accaduto e intentato una causa ed evidentemente era diventato troppo scomodo…

(da ilfattoalimentare) olio di palma e land grabbing

Tra il 2008 e il 2014 almeno 56 milioni di ettari di terre (pari all’estensione della Francia) nei Paesi in Via di Sviluppo sono stati accaparrati da investitori stranieri. A fine 2014, l’ONG internazionale Grain ha censito 66 macro-operazioni di rapine delle terre in Paesi tropicali esclusivamente finalizzate alla coltura mono-intensiva di palme da olio. L’Africa sub-Sahariana (ossia Etiopia, Uganda, Congo, Camerun, Gabon, Guinea e Guinea Bissau, Togo, Nigeria, Burkina Faso, Benin, Costa d’Avorio, Liberia, Sierra Leone, Senegal, West Africa ecc…), è stata l‘epicentro dell’operazione, grazie all’instabilità dei governi locali e alla conseguente facilità di acquisizioni e sgomberi di enormi appezzamenti di aree forestali a costi risibili. La vorace domanda di palma non ha trascurato il Sud-Est asiatico: 8 milioni di ettari di habitat naturale sono a rischio nelle Filippine, 5,5 milioni di ettari di terre già sotto dominio straniero in Papua Nuova Guinea, 5 milioni di ettari nelle mani di 25 grandi investitori in Indonesia. Dal Sud-Est Asiatico all’America Latina, la brama di palma si é estesa all’area amazzonica del Perù, oltre a Honduras e Colombia.

Il rapporto “Corporations, Commodities, and Commitments that Count”, pubblicato a marzo 2015 dall’organizzazione Supply-Change, attribuisce almeno due terzi delle deforestazioni tropicali alla gestione irresponsabile delle foreste con finalità agricole speculative, in risposta alla crescente domanda di olio di palma in primis, soia e pascoli. Tutto ciò che serve alla prima catena di pubblici esercizi del pianeta, Mc Donald’s, e ai suoi 36.000 fast food. L’intera produzione di olio di palma su scala globale ha luogo nei Paesi che un tempo ospitavano foreste tropicali. Ma l’espansione incontrollata di tali coltivazioni minaccia l’ambiente come i diritti umani, proseguono i ricercatori di Supply-Change, secondo cui a tutt’oggi solo il 10% del mercato è coperto dalle “certified tonnes of palm oil” le quali oltretutto, per il 69%, si esprimono attraverso transazioni di crediti o certificati. Grain a sua volta ha di recente denunciato l’immensità delle importazioni europee di “food commodities” la cui produzione deriva da terreni oggetto di rapine e deforestazioni illegali.